Antropologia del cibo

Intorno al 500 a.C. iniziarono ad emergere alcune tendenze dietetiche “primitive”. In particolare, guerrieri e atleti consumavano cibi specifici per diventare più forti e migliorare le loro prestazioni. I “piatti migliori” comprendevano il cuore di leone e il fegato di cervo! Secondo lo storico greco Erodoto di Alicarnasso, i lavoratori impegnati nella costruzione delle piramidi in Egitto mangiavano grandi quantità di aglio, cipolle e ravanelli. Gli storici concordano sul fatto che questi alimenti fossero scelti per prevenire malattie e completare il lavoro.

Nel primo Ottocento, i “fan” di Lord Byron seguirono la sua dieta personale, che escludeva completamente i grassi. L’antropologia del cibo ha esaminato la nutrizione nel corso dei secoli, fin dagli albori dell’umanità. La dieta non è mai stata il risultato esclusivamente di fattori fisiologici, ma anche sociali, economici, culturali e politici.

Fino alla seconda metà del XX secolo, il cibo non era una grande preoccupazione per gli accademici. Fu solo con il lavoro di importanti antropologi come Mary Douglas, Marvin Harris e Sidney Mintz che lo studio dell’alimentazione divenne parte integrante della vita sociale moderna. In particolare, Mintz è considerato il “padre dell’antropologia del cibo” grazie al suo libro Sweetness and Power (1985), che collegava la domanda britannica di zucchero alla creazione di specifiche condizioni lavorative da parte dell’impero.

Giota Florou (fonte: sirc.org)

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